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Numero News: 680
Pubblicata il: 12/12/2016
Godspeed Mr John Glenn
News riferita a Comune:
L'aquila
Fonte
Nicola Facciolini
Scheda News
Godspeed Mr John Glenn
Godspeed Mr John Glenn

L’Aquila / Godspeed, Mr. John Glenn! Il più veloce astronauta americano nello spazio il 20 Febbraio 1962 a bordo della capsula Friendship 7, lascia la Terra per sempre: le sue furono le tre prime orbite più importanti del Progetto Mercury celebrate anche da un simulatore di volo per iPad. John Glenn fu il primo astronauta americano della Nasa in orbita terrestre. Aveva 95 anni ed era l’ultimo dei Magnifici Sette del programma Mercury (Shepard, Glenn, Carpenter, Grisson, Shirra, Slayton e Cooper). Con la missione Shuttle STS-95 nel 1998, all’età di 77 anni, raggiunse la Stazione Spaziale Internazionale. Nel suo viaggio post volo venne in Italia perché a bordo c’era l'esperimento Uv-Star. I grandi film “The Right Stuff”, “Apollo 13” e “Space Cowboys” rievocano l’epopea spaziale americana. Proseguono le celebrazioni degli sbarchi sulla Luna, la più grande avventura dell’Umanità. Che cosa abbiamo imparato? “In the Shadow of the Moon” è la prima grande epopea cinematografica ad alta definizione sulle Missioni Apollo della Nasa che oggi piange per il budget 2017 delle missioni scientifiche nello spazio esterno, una pesante eredità per il Presidente Donald Trump. Spetta ai Mercati fare la propria parte. La Virgin Galactic, la compagnia privata di volo suborbitale, sta per inaugurare il primo spazioporto privato degli States e l’addestramento dei primi 100 Vip per il primo volo spaziale commerciale con la “Space Ship II-Enterprise”. La SpaceX tra alcuni mesi lancerà la sua prima navetta privata Dragon con astronauti a bordo diretti alla Stazione Spaziale Internazionale. Ora tocca all’Europa insieme alla Santa Russia fare il grande balzo nello spazio profondo, magari su Plutone, prima della Cina. Le estrazioni minerarie nel Sistema Solare spettano alle grandi compagnie spaziali, alle nuove multinazionali che, grazie alla liberalizzazione del commercio nello spazio esterno, possono dare effettivo impulso alla conquista umana della Galassia. Anche questa è una decisione politica per il neoeletto Presidente Donald Trump e per il Presidente Vladimir Putin. America ed Europa insieme nel Cosmo. E l’Italia? L’ignominiosa classe politica e dirigente che disgraziatamente sempre ci rappresenta, dipinge la Scienza come un “lusso”! È un particolare vero per le discipline che non vengono percepite come necessarie nel miglioramento della qualità della vita degli Italiani ammorbati dalla mediocrità e dalla mafia. Mentre nessuno mette in dubbio la necessità di finanziare la lotta al cancro, potenziare la ricerca in Matematica, in Fisica e in Astronomia non viene visto come un bisogno prioritario per l’Italia. Voleremo fin su Plutone con un’astronave nucleare alimentata da Americio secondo il progetto del fisico Carlo Rubbia? Crediamo che il grande John Glenn, in cuor suo, conosca già la risposta.
(di Nicola Facciolini)

Godspeed, Mr. John Glenn, vai con Dio! Il più veloce astronauta americano nello spazio, il 20 Febbraio 1962 a bordo della capsula Friendship 7, lascia la Terra per sempre e, all’età di 95 anni, torna alla Casa del Padre celeste. Fu il primo statunitense ad andare in orbita attorno alla Terra. L’ultimo dei Magnifici Sette del programma Mercury. Con la missione Shuttle STS-95 nel 1998, all’età di 77 anni, raggiunse la Stazione Spaziale Internazionale. Era nato nel 1921 nell’Ohio, a Cambridge. Pilota militare, aveva combattuto nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale e poi nella Guerra di Corea. Si era sposato nel 1943 e nel 1959 era stato selezionato per il programma Mercury. Il suo primo volo, nel quale aveva percorso tre orbite, era durato 4 ore e 55 minuti. Lavorò per la Nasa fino al 1964 e dal 1974 al 1999 fu senatore democratico. Il 29 Ottobre 1998 affrontò il suo secondo volo a bordo dello Space Shuttle “Discovery” percorrendo 134 orbite e aggiudicandosi il primato di astronauta più anziano a volare nello spazio. Nella stessa missione anche un po’ di Italia con l’esperimento UV-STAR, frutto di una collaborazione tra la Nasa e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI),  realizzato dall’Area Science Park di Trieste del Consorzio Carso e destinato alle osservazioni nella radiazione ultravioletta estrema, una regione dello spettro elettromagnetico inaccessibile da Terra. Nel 2011 John Glenn (http://spaceflightnow.com/2016/12/08/john-glenn-first-american-in-orbit-passes-away-at-95/) aveva avuto la medaglia d’oro del Congresso degli Stati Uniti d’America insieme ai tre astronauti della missione Apollo 11 dello sbarco sulla Luna, e nel 2012 il Presidente Obama gli aveva conferito la Medaglia Presidenziale della Libertà. Nel 2014 era stato operato al cuore e a fine Novembre 2016 era stato ricoverato in condizioni gravi nel Wexner Medical Center della Ohio State University, a Columbus. Furono celebrazioni amare alla Nasa per i primi 50 anni della storica impresa di John Glenn. Se il 20 febbraio 1962 John Glenn diventò il più veloce astronauta americano nello spazio a bordo della capsula “Friendship 7”, perché sue furono le prime tre orbite più importanti del Progetto Mercury, celebrate anche da un simulatore di volo per iPad, oggi i pesanti tagli al budget 2017 della Nasa, proposti per l’ennesima volta al Congresso Usa dall’uscente Presidente Barack Hussein Obama, hanno il sapore di un fatale oblio culturale dopo la pesante sconfitta politica del Partito Democratico che non rende affatto onore ed omaggio alla storica impresa di John Glenn. Una pesante eredità per il neoeletto Presidente Donald Trump che dovrà letteralmente fare “miracoli” per salvare e rilanciare l’Agenzia spaziale Usa. L’era buia del post Shuttle può essere dissipata solo con una nuova potente navetta spaziale stavolta “nucleare”! Il primo astronauta americano della Nasa in orbita, poi professore universitario, imprenditore, senatore e di nuovo astronauta nel 1998 a bordo dello Space Shuttle STS-95 e della Stazione Spaziale Internazionale, lascia la Terra con l’amaro in bocca. L’applicazione chiamata "Friendship 7: The Voyage of Mercury-Atlas 6" lanciata Lunedì 13 Febbraio 2012 intendeva attutire il colpo nel rendere omaggio a un evento storico senza precedenti per una grande “democrazia” come gli Stati Uniti sconfitta nelle Guerre Umanitarie al terrore, dal suo peggior nemico: il tradimento! Ufficialmente “battuti” dalla Russia sovietica e dal cosmonauta Yuri Gagarin nelle fasi iniziali della corsa allo spazio, gli Usa seppero reagire prontamente. Grazie all’iPad oggi possiamo rivivere tutte le fasi dell’impresa Mercury di John Glenn con l’accesso diretto ad oltre quattro ore di rari filmati originali d’epoca, nonché alle registrazioni vocali di bordo fra Glenn e la direzione di volo. Sulla “Friendship 7” possiamo fare esattamente quello che faceva John Glenn nella sua angusta cabina di pilotaggio. Compresi test di pre-lancio del missile “Atlas D”, un temibile vettore nucleare riconvertito per la corsa allo spazio. Possiamo partecipare alla famosa conferenza stampa del 9 Aprile 1959 che annunciò ai media il Programma Mercury insieme a Glenn ed a tutti gli altri astronauti della Nasa, tra cui Scott Carpenter. Del “checkout” della sua navicella si occupa una speciale sezione dedicata al vettore “Atlas D” destinato a passare alla storia come il “missile di Glenn”. Possiamo seguire la “Friendship 7” durante tutte le fasi di addestramento e verifica, condotte dal 17 Gennaio 1962 fino al primo tentativo di lancio del 27 Gennaio. La missione fu annullata ben undici volte prima del “lift-off” definitivo del 20 Febbraio. Dalla direzione di volo nella sala di controllo di Cape Canaveral (Florida), abbiamo la possibilità, nelle vesti di Christopher Kraft, di impartire gli ordini a tutte le altre stazioni di comando e controllo della missione Mercury, seguendo il percorso orbitale della navicella. John Glenn trascorse nello spazio cinque lunghe ore prima di tuffarsi di nuovo nell’atmosfera incandescente della bolla di plasma, protetto dal sottile scudo termico della capsula, oggi semplicemente inconcepibile. Possiamo anche ascoltare cosa si dissero Glenn e Kraft, naturalmente in lingua inglese, durante le fasi più critiche della missione. Una sezione speciale del programma consente di immergersi nella vita quotidiana di un astronauta americano come Glenn. Cosa mangiava, quale tuta spaziale indossava. Il nostro punto di vista a bordo della “Friendship 7” è esattamente quello di Glenn. Quindi possiamo anche scattare una foto alla Terra! Tutto questo grazie a un lavoro certosino degli specialisti della Spacecraft Films che sono riusciti in un’impresa senza precedenti, quella di riversare i filmati originali in pellicola 35mm, realizzati da Glenn durante le tre orbite, nel simulatore per l’iPad. Che, grazie al nuovo retina display “pro”, promette miracoli ad altissima risoluzione. Non può mancare la parata di New York City nella quale riviviamo le celebrazioni di Glenn e consorte. Per poi effettuare un salto al Complesso di Lancio “Numero 14” di Cape Canaveral.“È un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”. Sono le parole pronunciate dall’astronauta americano Neil Armstrong, anche lui in Cielo, mentre posava il suo piede sulla soffice superficie del suolo lunare. Erano le 21:56 del 20 Luglio 1969 ora di Houston (Usa), in Italia le ore 4:56 del 21 Luglio. Il Lem Aquila, toccando la cinerea superficie selenica, aveva permesso a due americani (Armstrong e Aldrin) di raggiungere un altro mondo per la prima volta nella storia dell’Umanità (Collins in orbita nel modulo di comando). Fu un’impresa storica ma soprattutto un successo politico interamente ascrivibile al Presidente cattolico J. F. Kennedy, ai limiti delle possibilità tecnologiche umane. Fu infatti un atto decisamente politico inteso a riconvertire il complesso militare industriale Usa in impresa spaziale! Kennedy decise di andare sulla Luna perché era “arduo”. Furono le sue stesse parole. E in meno di dieci anni il sogno divenne realtà grazie all’Agenzia Spaziale Americana Nasa e ai primi uomini del Programma Mercury. Fu sufficiente applicare a dovere la fisica di Newton e Galilei per realizzare l’impresa umana nel Cosmo. Neil Armstrong aveva 82 anni quando morì nell’Agosto 2012. Lo sbarco sulla Luna, il 20 Luglio 1969, fu il coronamento della sua vita. Ma fu anche e soprattutto un evento epocale nella Storia dell’Umanità, destinato a segnare l’apice della corsa allo spazio e della Guerra Fredda fra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica. Per quasi 20 anni le imprese spaziali furono un nuovo teatro della battaglia ideologica tra capitalismo e comunismo, una gara tecnologica senza risparmio di colpi cominciata ufficialmente il 4 Ottobre 1957 con il primo satellite artificiale, lo Sputnik1. Il suo segnale, dallo spazio, segnò il primo punto a favore della Russia socialista. Quel “bip” emesso dal satellite russo per 20 giorni consecutivi prese alla sprovvista gli Stati Uniti. Per l’Urss fu un orgoglio nazionale e per il mondo segnò l’inizio dell’era spaziale. Neppure un mese più tardi, il 3 Novembre 1957, la Russia lanciò lo Sputnik2. Fu un altro primato, perché a bordo c’era un essere vivente, la cagnetta Laika. E poiché sopravvisse all’ingresso in orbita ma poi morì per lo stress e il surriscaldamento, nel 1960 l’esperimento si ripeté, stavolta con successo, con i cani Belka e Strelka. Per gli Usa fu l’inizio di un rinnovamento frenetico. Due anni prima il Presidente Dwight Eisenhower aveva annunciato il Progetto Vanguard che prevedeva il lancio di un satellite fra il 1957 e il 1958. Battuti sul tempo sempre dalla Russia, gli Stati Uniti cercarono di mantenere comunque la promessa lanciando il primo razzo Vanguard, il 6 Dicembre 1957. Ma fu un fallimento! Il Primo Febbraio 1958 si tentò con un razzo progettato dall’Esercito e dal geniale ingegnere nazista delle V2, trasferito negli Stati Uniti, Wernher Von Braun. L’Explorer Uno fu il primo successo a stelle e strisce. Era il momento di concentrare gli sforzi per recuperare il terreno sulla Russia. E così il 29 Luglio 1958 gli Usa fondarono la loro Agenzia spaziale, la Nasa, diretta da Von Braun. La competizione continuò serrata, un primato dopo l’altro, fino al 12 Aprile 1961, quando il russo Yuri Gagarin venne lanciato con la navetta VostokI. Il primo uomo nello spazio era russo, cioè europeo, per giunta un cristiano! Qualche settimana dopo, il 5 Maggio, Alan Shepard fu il primo americano nello spazio, a bordo di una Mercury3, in un volo suborbitale. Il primo a raggiungere l’orbita fu, invece, John Glenn il 20 Febbraio 1962, a bordo di una Mercury6. Appena 40 giorni più tardi, il 25 Maggio 1961, il Presidente John Kennedy avrebbe annunciato al Congresso l’inizio del Programma Apollo destinato a portare l’Uomo sulla Luna entro dieci anni e a riportarlo sulla Terra sano e salvo. Il primo passo fu il Programma Gemini, per sperimentare la fattibilità tecnica. Nonostante i successi americani, furono però ancora i russi a fare nuovi passi avanti clamorosi. Il 16 Giugno 1963 Valentina Tereskova fu la prima donna cosmonauta. Gli Usa risposero con la prima sonda verso Marte, la Mariner4, lanciata il 28 Novembre 1964. Il 18 Marzo dello stesso anno il sovietico Alexej Leonov fece la prima passeggiata spaziale. La corsa al Cosmo per gli Usa avrebbe subìto una battuta d’arresto il 27 Gennaio 1967, quando l’Apollo Uno esplose sulla rampa di lancio. Ma il programma andò avanti. Nel Natale 1968 l’Apollo8 entrò in orbita lunare e in quello stesso anno i sovietici lanciarono in orbita lunare i primi animali, due tartarughe, sulla capsula Zond5. Gli Usa raggiunsero alla fine il loro obiettivo il 20 Luglio 1969, quando Neil Armstrong poté muovere il primo passo sul suolo lunare. I russi non si arresero e cominciarono a lavorare alla prima stazione spaziale, la Salyut, che lanciarono il 19 Aprile 1971. Solo qualche anno dopo ci furono le prime aperture alla collaborazione: il patto della fine della Guerra Fredda spaziale fu siglato, nel Luglio 1975, con l’aggancio orbitale fra le navette Apollo18 e Soyuz19 nella prima missione spaziale congiunta Usa-Urss. Ed allora, stregati dalle calde sonorità di “Fly me to the Moon” di Frank Sinatra, auguriamoci di cuore di riscoprire e trasmettere alle future generazioni quel medesimo spirito pionieristico che condusse l’Umanità a calpestare il suolo lunare il 20 Luglio 1969. Impresa celebrata ogni anno in Abruzzo da Monsignor Ettore Di Filippo, dal monastero di Montesanto (Civitella del Tronto), da grande cultore di scienze spaziali (http://it.wikipedia.org/wiki/Ettore_Di_Filippo) qual era. Iniziate il 4 Ottobre 2007 le celebrazioni dei 50 anni dell’Uomo nello spazio, in questo tempo abbiamo avuto sempre qualcosa e qualcuno da ricordare per rivivere insieme l’inizio dell’avventura umana nella Galassia. Nelle sale cinematografiche di tutto il mondo (non in Italia) i cittadini hanno avuto modo di vedere il bellissimo film-documentario “In the Shadow of the Moon” (Usa, 2007) del regista Ron Howard, la prima epopea cinematografica ad alta definizione dedicata alle missioni Apollo della Nasa, presentate al grande pubblico con effetti 3D. L’alto livello di qualità artistica e cinematografia raggiunto dalla documentaristica americana in tema di spazio e missioni umane nel Cosmo, è encomiabile. Siamo ben oltre la fantascienza degli effetti speciali di Avatar di James Cameron perché è la realtà dei filmati d’epoca a suscitare l’emozione del volo cosmico. Molti documentari, sceneggiati televisivi e film come “Uomini veri” (The Right Stuff), “Apollo 13” e l’ottima serie “Dalla Terra alla Luna” di Tom Hanks, hanno cercato di trasmettere l’essenza del volo umano nello spazio, intorno alla Terra e dalla Terra alla Luna, per descrivere e far rivivere quelle emozioni a chi ancora non c’era nei giorni gloriosi dei Programmi spaziali Mercury, Gemini e Apollo. Tutto ha inizio nel 1947 quando il pilota americano Chuck Yeager frantuma il muro del suono. La caduta di quella mitica barriera sonica stimola la preparazione di una conquista ancora più ambiziosa: lo spazio esterno oltre l’orbita della Terra. La Scienza, la volontà competitiva sul piano politico e tecnologico, i grandi sviluppi dell’ingegneria spaziale e un gigantesco impegno umano, finanziario e organizzativo pubblico e privato, concorrono a preparare la storica impresa. Per il cui pieno successo occorrono gli uomini giusti, i migliori piloti scrupolosamente selezionati, superdotati e severamente addestrati, insomma gli intelligenti e coraggiosi “scouts” dello spazio in grado di improvvisare e decidere soluzioni immediate superando anche se stessi. Il film “Uomini Veri” (The Right Stuff, Usa 1983) del regista statunitense Philip Kaufman, documenta e racconta la storia dei Magnifici Sette, gli astronauti che gli Stati Uniti d’America prescelsero (Shepard, Glenn, Carpenter, Grisson, Shirra, Slayton e Cooper) anche in rapporto ed a testimonianza dei valorosi piloti e scienziati che li avevano preceduti, superando nel cielo e sulla Terra ben altre difficoltà e barriere. Nel 2000 l’attore, regista e produttore Tom Hanks, Imagine Entertainment e HBO presentano lo sceneggiato “Dalla Terra alla Luna”, la drammatica storia delle indimenticabili missioni Gemini, Apollo e dei loro eroici astronauti: dallo storico discorso del Presidente John F. Kennedy, passando per le prime spedizioni nello spazio con equipaggio a bordo, fino al momento cruciale del programma spaziale, la conquista americana della Luna a nome dell’Umanità intera. Un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’Umanità. Raccontate con una tensione narrativa senza precedenti attraverso interpretazioni memorabili, vengono presentate le storie di uomini, donne e bambini che vissero, respirarono e costruirono, a partire dalla forza di volontà, uno dei successi più straordinari nella storia del genere umano. Un evento che oggi sembra fantascienza! Altri film hanno centrato l’obiettivo con un certo successo, pur essendo ancora legati agli standard televisivi di vecchia data. Una considerevole eccezione fu il lavoro di Al Reinert del 1989 “For All Manking”, il primo tentativo di portare sul grande schermo le missioni Apollo. Il suo degno successore è senz’altro il film-documentario per il grande schermo di David Sington,“In the Shadow of the Moon”. Per la prima volta, Sington reinventa il film documentaristico delle missioni Apollo. Direttamente dagli archivi della Nasa, gli spettacolari filmati originali delle missioni spaziali, fotogramma per fotogramma, prendono di nuovo vita, trasferiti in un film ad alta definizione e in un modo che non ci saremmo mai immaginati di poter vedere. Una buona fetta del mancato successo delle precedenti pellicole, era di aver glissato sulle fasi di pre-lancio, lancio e separazione nell’atmosfera terrestre degli stadi del più grande missile della storia mai costruito prima d’allora, il potente Saturn V. “In the Shadow of the Moon” celebra il vettore Saturn V e il genio dei suoi inventori, senza i quali non saremmo mai andati sulla Luna né altrove. Numerosi pezzi della sequenza di lancio avviata dall’italo-americano Rocco Petrone, dal centro di controllo della Nasa, includono spettacolari filmati ripresi dalla camera a largo campo dell’Apollo 17. Il film è uno spettacolo per gli occhi, per il cuore e per la mente, dalla partenza degli astronauti all’abbandono dell’orbita terrestre quando tutto ebbe inizio. E per la prima volta siamo a bordo con loro, li possiamo seguire sul modulo di comando nei giorni in cui gli astronauti vivono le loro lunghe ore di attesa, prima e dopo la cattura gravitazionale della Luna, l’immissione in orbita lunare, il distacco del Lem, la discesa sulla superficie “sconosciuta e proibita” della Luna, gli esperimenti scientifici condotti sulla superficie, non da robot o sonde automatiche ma da veri esseri umani. O meglio da uomini veri, gli astronauti della Nasa. Esperimenti che hanno contribuito alla fondazione della nostra attuale comprensione del ruolo dell’Uomo sulla piccola biosfera Terra e nell’Universo. Fino al decollo dello stadio superiore del Lem per l’aggancio in orbita al modulo di comando e il ritorno sulla Terra. Ogni modulo di comando e ogni Lem, hanno avuto il proprio nome nelle sette missioni Apollo. Li ricorda “In the Shadow of the Moon” direttamente dalla viva voce degli astronauti che hanno vissuto in prima persona il viaggio sulla Luna. I loro pensieri, le loro sensazioni, le loro esperienze critiche al limite delle umane possibilità, hanno segnato un’epoca immortale che forse non rivivremo mai più. Nulla di propagandistico, ma la pura e semplice verità filmata e documentata nelle reali interviste agli astronauti. Quanto basta per occupare lo spazio di un film d’autore. Si comincia con la testimonianza di Charlie Duke dell’Apollo 16. Suo padre, racconta Duke, apparteneva all’epoca in cui era molto difficile credere che qualcuno potesse davvero volare su altri mondi. Figurarsi per suo figlio, volare sulla Luna. Ma poi Charlie Duke confessa che, per suo figlio, la sua passeggiata sulla Luna non era poi una “così grande impresa”. Segno che lo spirito delle missioni Apollo e dell’avventura sulla Luna, divenuto ormai monotona routine, non bastava più a conservare l’audience originario. Per assistere alle missioni Apollo ed apprenderle dalla viva voce degli astronauti, “In the Shadow of the Moon” unisce i suoni del privato con le immagini e i dialoghi (anche riservati) tra i tecnici del centro di controllo missione e gli astronauti. Possiamo così scoprire “familiari” le parole pronunciate da Neil Armstrong al tocco della superficie polverosa della Luna e la voce dal centro di Houston che risponde (Charlie Duke) spezzando il silenzio della sala di controllo Nasa. I produttori hanno cercato e trovato le bobine audio originali ed assemblato le voci per la prima volta. Una vicenda memorabile, per molti osservatori quasi ovvia, ma dalla prospettiva storica, che saluta e onora il lavoro di quanti hanno realizzato “In the Shadow of the Moon”. Perché questo titolo al film? Sono parole ispirate a quelle pronunciate dal Presidente Kennedy di spedire un americano sulla Luna e di farlo tornare a casa sano e salvo in meno di 10 anni. Kennedy ha modificato radicalmente il modo di ragionare delle persone. Anche di quanti nel mondo credevano che fosse impossibile. Un sogno, uno spirito, una realtà scientifica e tecnologica che ha animato tutte le missioni Nasa, fino alle astronavi Apollo ed oltre l’ultima navicella che posò le zampe di un Lem sulla Luna, l’Apollo 17 nel Dicembre 1972. Jim Lovell è famoso per essere stato il comandante dell’Apollo 13, la missione abortita. Pochi ricordano che Jim era stato anche a bordo del primo volo ad aver lasciato la gravità della Terra per sconfinare nello spazio della Luna, l’Apollo 8. “Dalle profondità siderali della Luna – racconta Lovell – puoi nascondere la Terra dietro il tuo pollice, e con essa tutto quello che hai conosciuto: i tuoi affetti, il tuo lavoro, i problemi della Terra, tutti nascosti dietro il tuo dito. Allora, ti rendi conto di come siamo realmente insignificanti”. La missione Apollo 13 venne definita “un fallimento di grande successo” perché l’equipaggio non poté camminare sulla Luna. Ma, grazie ad un enorme sforzo congiunto del personale Nasa a terra, i tre astronauti riuscirono a rimanere vivi ed a tornare sulla Terra. Alcuni dei commenti più interessanti nel film “In the Shadow of the Moon” vengono da un astronauta che non mai ha messo piede sulla superficie lunare, il pilota del modulo di comando dell’Apollo 11, Michael Collins. Nel film racconta la sua esperienza di navigatore. “Mi stupivo del lavoro di tutti all’unisono con l’efficienza, la precisione e la regolarità di un orologio, e – afferma Collins – pensavo si trattasse di una magica realtà. In effetti doveva trattarsi anche di questo, perché tutto procedeva come prestabilito. Nessuno poteva permettersi di sbagliare. Anch’io non ho fatto errori. Ho fatto molte cose che potevo sbagliare, ma le cui conseguenze, se avessi commesso errori, sarebbero state immediatamente ovvie a tre miliardi di testimoni oculari”. A missione compiuta, quando l’Apollo 11 ammarò sull’Oceano Pacifico, la prima reazione di Collins, quando il sommozzatore aprì il portello della capsula del modulo di comando, fu quella di ammirare la bellezza delle profonde acque blu della Terra. Sensazioni tipiche di un alieno visitatore. E, in un certo senso, fu così. La programmazione mondiale, e non solo americana, del film “In the Shadow of the Moon” coincise con le celebrazioni del 50mo anniversario della messa in orbita del primo satellite artificiale, il russo Sputnik Uno, il 4 Ottobre 1957. Un’occasione mancata per il pubblico italiano. Non tutti hanno avuto il privilegio di essere testimoni diretti dell’inizio del programma spaziale americano e della prima passeggiata su un altro mondo, benché vicino, come la Luna. Poiché non c’è nulla di comparabile al livello altamente divulgativo ed educativo della visione di “In the Shadow of the Moon”, abbiamo ragione di credere che il successo dell’opera possa servire a far capire quanto reali ed attuali siano per tutti noi, ancora oggi, quei giorni gloriosi. Le sette missioni Apollo costituiscono poche pagine di Storia sui libri che mai furono in grado di registrare le reali sensazioni di quanto accadeva in tempo reale. Tutti possono rivivere subito alcune di quelle esperienze che molti della generazione Apollo hanno vissuto in diretta Tv. È uno strumento ma anche il miglior auspicio per ispirare le nuove generazioni di astronauti (già nati!) che forse ritorneranno sulla Luna per poi conquistare Marte, Giove, Saturno e Plutone, fino ad espandere la presenza dell’Umanità in tutto il Sistema Solare e nella Galassia. Con quello spirito da pionieri che ci ha portati a calpestare il suolo lunare quel 21 Luglio 1969.  Il sesto astronauta dell’Apollo 16, il “moonwalker” John Young, ricorda la sua visione prospettica dallo spazio. “Ci sono molte cose come l’inquinamento urbano che si notano subito quando sei in orbita. Puoi vedere su ogni grande città della Terra la propria caratteristica cappa di smog, unica e inconfondibile. Allora volgiamo il nostro sguardo là fuori per il futuro dei nostri figli e nipoti. Ma qui sulla Terra che cosa ci preoccupa? Il prezzo di un gallone di carburante”. Osservare la nostra Terra dallo spazio, orbitare intorno ad essa, è senza alcun dubbio un’esperienza necessaria per comprendere le necessità vitali della nostra Casa Terra, l’unica che abbiamo, per salvare questo nostro piccolo pianeta blu e consegnarlo alle future generazioni. Dopo tutto, i vari movimenti ambientali nacquero all’indomani delle missioni spaziali degli Anni ‘60 e ’70 che aprirono le coscienze alla visione di una nuova Terra. Senza le missioni Apollo della Nasa non avremmo mai avuto la percezione globale dei problemi climatici odierni, nonostante i successi spaziali della Russia. La tecnologia dei programmi spaziali americani, tra l’altro, è madre dei termometri ottici infrarossi oggi in vendita nelle farmacie! “In the Shadow of the Moon” avverte gli abitanti della Terra che l’esplorazione dello spazio è importante e deve coinvolgere tutti per il nostro futuro di Uomini e di specie senziente. Per la salvezza della Terra. Non è solo una celebrazione delle missioni Apollo ma anche del volo umano spaziale che ci attende là fuori. Ci sono già 100 persone tra cui il capitano Kirk (William Shatner) della nave stellare Enterprise di Star Trek, pronte ad iniziare l’addestramento per il loro primo volo suborbitale dal costo abbordabile di 200mila dollari. Della spazio-mobile si sta occupando la famosa compagnia Virgin Galactic, proprio quella di sir Richard Branson che edifica l’impero dei voli spaziali orbitali per viaggi turistici, ricerca scientifica, mineraria e possibili sviluppi commerciali nel Sistema Solare e oltre. La partenza della spaziomobile “Space Ship II” non avverrà prima del 2018 dal deserto del Mojave (Usa). Fervono i lavori per la costruzione del primo spazioporto privato. Lo scopo dell’allenamento è semplice: considerando che la spinta necessaria a far staccare l’aeronave dal suolo è proibitiva per i comuni passeggeri della Domenica, la Virgin preferisce addestrarli a dovere con tanto di sacchetto in dotazione. Il programma durerà due giorni, periodo in cui, come dicono nell’azienda, “vi faremo effettuare un veloce movimento rotatorio su voi stessi verso l’alto, poi vi spingeremo velocemente in basso, poi vi rifaremo roteare di nuovo, spingendoci però un po’ più in là di prima”. Insomma, come fanno i piloti della Nasa, di Roscosmos e dell’Esa per diventare i migliori del mondo. Questo dovrebbe servire ad evitare la nausea durante il decollo e le fasi cruciali del volo spaziale vero e proprio. Anche perché “il disagio che si prova durante lanci del genere è solo psicologico”. Passati i due giorni di allenamento intensivo, la fase seguente sarà il volo sulla “Space Ship Two Enterprise”, un gioiellino che alcuni anni fa, in formato sperimentale, vinse una gara da 10 milioni di dollari per realizzare il primo aeromobile spaziale privato. Dopo tutto, solo quando puoi nascondere l’intero mondo e miliardi di persone con il tuo pollice, come affermò Lovell, puoi veramente vedere “what we have to deal with”. Oggi tocca agli Stati Uniti d’Europa con la Santa Russia, alle imprese private, fare il loro balzo sulla Luna, su Marte, su Giove e su Saturno. Sì, perché alla Nasa i soldi sono pochi: la proposta di budget fiscale presidenziale AD 2017 pari a 19 miliardi di dollari (https://www.nasa.gov/sites/default/files/atoms/files/fy_2017_nasa_agency_fact_sheet.pdf) ha formalmente costretto l’Agenzia spaziale americana a sospendere molti dei suoi ambiziosi programmi, comprese le missioni di esplorazione dei confini del Sistema Solare. Sono a rischio anche quelle in corso. La Casa Bianca comanda, previa approvazione del Congresso oggi tutto Repubblicano, la mannaia più pesante prevista per i prossimi anni. Addio alla conquista umana di altri mondi? Almeno sotto il comando della Nasa. Bisognerà spegnere, infatti, quasi tutte le sonde già in missione come la Cassini su Saturno e le due Voyager lanciate negli Anni Settanta che rappresentano la gloria della Nasa. Il Mars Science Laboratory (MSL) lanciato nel Novembre 2011, resta l’unica missione attiva da 2,5 miliardi di dollari, con il rover Curiosity su Marte dall’Agosto 2012. L’ultimo di una lunga serie (come il prossimo rover del 2020) che avrebbe dovuto fare da “battistrada” alla conquista umana del Pianeta Rosso! Con Obama sono saltate anche molte collaborazioni internazionali come le missioni congiunte Nasa-Esa della serie Exo-Mars, per il doppio lancio su Marte nel 2016 e nel 2018. Bisognerà miniaturizzare le sonde spaziali. È l’unica alternativa razionale, credibile, auspicabile e praticabile. Niente missioni umane oltre l’orbita della Terra, perchè costano troppo al settore pubblico dell’impresa spaziale? La Legge di Stabilità (Finanziaria) decide, di anno in anno, come vengono ripartite le risorse pubbliche per fare funzionare la macchina dello Stato. La Sanità, la Scuola, la Difesa, il Welfare, fanno la parte da leone. Per ultime vengono la Scienza e Ricerca made in Italy. Certamente affascinanti, sicuramente indispensabili alla crescita del Belpaese, ma spesso ritenute un “lusso” che non ci possiamo permettere! L’ignominiosa classe politica e dirigente che disgraziatamente sempre ci rappresenta, dipinge la Scienza come un “lusso”. È un particolare vero per le discipline che non vengono percepite come necessarie nel miglioramento della qualità della vita degli Italiani ammorbati dalla mediocrità e dalla mafia. Mentre nessuno mette in dubbio la necessità di finanziare la lotta al cancro, potenziare la ricerca in Matematica, in Fisica e in Astronomia non viene visto come un bisogno prioritario per l’Italia. Per fortuna, non tutti i Paesi del mondo la pensano così. Il finanziamento della ricerca pubblica americana, approvato dal Congresso, ha largamente superato le richieste. La Nasa ha visto il suo budget lievitare di oltre il 7 percento, non succedeva dal 2003. Il settore che ha ricevuto l’aumento dell’esplorazione planetaria con un più 13 percento. Merito dell’interesse suscitato dalla missione di esplorazione su Europa, la luna di Giove con una spessa coltre di ghiaccio che ricopre un vasto e profondo oceano di acqua salata, dove potrebbe essersi sviluppata qualche forma di vita aliena extraterrestre. Secondo John Culberson, repubblicano texano a capo della Commissione che ha deciso i finanziamenti, scoprire qualche forma di vita su Europa potrebbe “galvanizzare l’opinione pubblica e trasformare la nostra visione dell’Universo” e la Nasa, nel ricordo di John Glenn, non può farsi certo scappare una simile occasione. Ovviamente, a questo punto, qualcuno si chiederà: perché spendere soldi pubblici per esplorare il Sistema Solare o per costruire i telescopi spaziali del futuro, quando ci sono ancora così tanti problemi da risolvere sulla Terra? Davanti al costo di una missione spaziale o di uno dei grandi strumenti del Cern di Ginevra, la prima reazione  è sempre la stessa: ma vale la pena di spendere così tanto? Certo, cifre a 9 zeri fanno impressione, ma bisogna inserirle nel contesto della ricchezza delle nazioni coinvolte. Se l’Agenzia Spaziale Europea spende un miliardo di euro per la missione Rosetta, significa che, su un periodo di 20 anni, ogni cittadino europeo ha contributo per una frazione di euro all’anno. Sembra un investimento esagerato per svelare i segreti della Vita? Oltre a immagini mozzafiato della cometa 67P, Rosetta ha prodotto tecnologie che contribuiranno, nei prossimi anni, a migliorare la nostra qualità della vita. Rivolere indietro i nostri pochi euro o essere contenti di averli investiti in ricerca ed innovazione, è una questione di mera filosofia domestica! Se proprio si è fissati con le spese inutili, occorre fermarsi un attimo a considerare che il cittadino europeo medio spende molto di più in prodotti dannosi come alcol, guerre umanitarie perse e sigarette! Si potrebbe obiettare che vale sempre la massima di Don Giovanni, “poiché spendo i miei denari, io mi voglio divertire”! Peccato che, a causa di questi divertimenti, i governi europei si vedano obbligati a dedicare budget molto più corposi di quelli della Scienza Spaziale per combattere le malattie provocate alcol, guerre umanitarie e fumo! Il paragone tra le spese nel programma spaziale e quelle per le sigarette, pare illuminante. Nemmeno la Nasa del periodo d’oro di John Glenn e della corsa alla Luna, quando il suo budget arrivava al 4 percento del Pil degli Stati Uniti d’America, ha mai raggiunto la metà di quanto gli Americani spendevano in tabacco. Morale della storia: invece di chiedersi se valga la pena finanziare i grandi progetti di ricerca, chiediamoci piuttosto perché investiamo così poco nei campi dove si decide il nostro futuro. Meglio puntare su conoscenza e innovazione per il volo interstellare, oppure su un dannoso pacchetto di sigarette e sulle disastrose guerre umanitarie condotte anche dall’Italia sulla Terra? L’analisi dei dati raccolti dalla sonda New Horizons della Nasa, durante il suo rapido flyby di Plutone nel Luglio 2015, sta mettendo in luce caratteristiche sorprendenti del Pianeta Nano. Una serie di studi pubblicati nel numero di “Nature” di Dicembre 2016, sono dedicati alla regione denominata “Sputnik Planitia” e suggeriscono interessanti retroscena ipotizzando ribaltamenti orbitali, calotte di ghiaccio e persino un oceano sotterraneo. I gufi dicevano che quei continui rinvii non avrebbero portato nulla di buono alla sonda nucleare New Horizons, ferma sulla rampa di lancio per le avverse condizioni meteo e le preoccupazioni degli ambientalisti “armati” di pannelli solari. Niente di più sbagliato. Ottenuto finalmente il via libera, il 19 Gennaio 2006, in piena era repubblicana, la sonda si staccava dalla base di Cape Canaveral con un lancio da manuale. Altrettanto esemplari sono state le successive manovre che avrebbero portato la New Horizons, dopo una fantastica cavalcata di quasi dieci anni, allo storico appuntamento con Plutone, alla massima velocità gravitazionale di sempre per una sonda automatica umana, circa 100mila km orari. Curiosamente, al momento della partenza di New Horizons, Plutone era ancora a tutti gli effetti un Pianeta standard e la sonda aveva, dunque, l’ambìta missione di svelare finalmente il volto dell’ultimo mondo del Sistema Solare, scoperto ormai da più di tre quarti di secolo ma ancora avvolto nel mistero più fitto. Di lì a qualche mese, l’Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale, riunita a Praga, avrebbe decretato la riclassificazione di Plutone a Pianeta Nano. I gufi allora ebbero la loro magra soddisfazione, implacabilmente cancellata non appena la New Horizons, nel Luglio 2015, inviò a Terra le prime fantastiche riprese di quel lontano mondo gelato. Panorami emozionanti, montagne e dune di ghiaccio non solo d’acqua. Proprio come lo erano stati quelli di Giove, Saturno, Urano e Nettuno raccolti dalle due missioni Voyager tra la fine degli Anni Settanta e la fine degli Anni Ottanta del XX Secolo. Il “cuore” di Plutone ha riacceso la passione per il volo spaziale umano interplanetario sognato da John Glenn. Tutti certamente ricordano le prime sorprendenti immagini catturate dalla New Horizons e quella inaspettata forma a “cuore ferito” che campeggia sulla superficie di Plutone. Finalmente veniva svelato in maniera davvero scenografica il vero volto di quel corpo celeste che in quei giorni stava orbitando a ben 31,8 Unità Astronomiche dalla Terra. Nei giorni seguenti, compatibilmente con gli impegni gravitazionali della New Horizons, per l’esasperante lentezza delle comunicazioni, sarebbero arrivate altre immagini la cui maggiore risoluzione avrebbe permesso di vedere intriganti dettagli di Plutone e di quella curiosa regione che, a ricordo dello scopritore del Pianeta Nano, era stata battezzata “Tombaugh Regio”. Proprio dallo studio di questa complessa affascinante caratteristica superficiale di Plutone, sono venute notevoli sorprese. Alcuni team di planetologi, infatti, hanno voluto indagare sulle possibili origini di Sputnik Planitia, la porzione occidentale del “cuore” di Plutone, attirati dal fatto che sembrava possedere le caratteristiche tipiche di un antico bacino da impatto cosmico. Gli scenari che sono emersi dall’indagine, pubblicati sull’ultimo numero di Nature, sono a dir poco sorprendenti. Lo studio coordinato da James Keane dell’Università dell’Arizona (Tucson) si sofferma sulle possibili conseguenze che si potrebbero trarre ipotizzando per l’origine di Sputnik Planitia un antico impatto. Vista l’ampia diffusione di crateri “catastrofici” su tutte le superfici solide dei corpi del Sistema Solare, l’ipotesi di un simile evento risulta perfettamente logica. In questo caso si sarebbe trattato di un impatto di così grande energia da lasciare sulla superficie di Plutone uno sfregio davvero notevole: un buco di circa 1000 chilometri di diametro. L’interno di Sputnik Planitia è caratterizzato da una superficie liscia e priva di crateri il cui livello si trova tre o quattro chilometri più in basso rispetto ai terreni circostanti. Secondo Kean e collaboratori, però, la posizione di questa depressione proprio in prossimità dell’equatore di Plutone solleverebbe qualche problema di natura dinamica. Una simile collocazione, infatti, risulterebbe difficile da spiegare, visto che ogni corpo celeste cerca di ottimizzare la propria rotazione facendo in modo che all’equatore si dispongano eventuali eccessi nella distribuzione della sua massa. Un meccanismo dinamico che viene chiamato “polodia” e che interessa anche il nostro pianeta Terra, che si “riaggiusta” rispetto all’asse di rotazione non appena variano gli equilibri interni anche a causa dei grandi terremoti. Bisogna dunque ipotizzare che Sputnik Planitia, a dispetto della depressione che la caratterizza, presenti un anomalo eccesso di massa su Plutone. Il team di Keane ritiene che quella massa in eccesso possa essere uno spesso strato di ghiacci che nel corso del tempo, complice la particolare inclinazione di Plutone, si è depositato in quella regione. L’asse di rotazione di Plutone, infatti, è praticamente adagiato sul piano dell’orbita e questo fa sì che le regioni equatoriali siano quelle che sperimentano le temperature più basse, sempre al di sotto dei 240 gradi sotto lo zero celsius. Nel corso dell’orbita, le regioni polari di Plutone vengono debolmente illuminate dal Sole e quell’irraggiamento è sufficiente a trasformare in gas i ghiacci più volatili della superficie. Ghiacci di Azoto, Metano e monossido di Carbonio. Questi gas, però, non hanno vita lunga e sono destinati a ricondensare nelle fredde regioni equatoriali. Con il passare del tempo, il ciclo tipicamente meteorologico ha finito con l’accumulare uno spesso strato ghiacciato su Sputnik Planitia e quando le reciproche azioni di marea con il satellite Caronte hanno cominciato a modellare le dinamiche della coppia, Plutone ha riorientato il proprio asse di circa 60 gradi, confinando l’antico bacino d’impatto ormai appesantito dai ghiacci all’equatore. Oggi i due corpi sono legati tra loro da una rotazione sincrona che impone ad entrambi di mostrare sempre la stessa faccia l’uno all’altro e Sputnik Planitia si trova proprio nel bel mezzo della faccia di Plutone perennemente nascosta alla vista di Caronte. Nel loro studio Keane e collaboratori non mancano di sottolineare come il riposizionamento rispetto all’asse di rotazione, il carico dei ghiacci accumulati e il graduale congelamento di un possibile oceano liquido sotto la superficie di Plutone, abbiano certamente innescato notevoli tensioni nella litosfera del Pianeta Nano, sfociate nella rete di fratture superficiali piuttosto evidenti nelle immagini della sonda New Horizons. L’idea di un possibile oceano sotterraneo viene ripresa e approfondita da Francis Nimmo (University of California, Santa Cruz) e colleghi. Nel loro studio su Nature i ricercatori sostengono che, senza questo oceano, sarebbe piuttosto complicato ottenere l’eccesso di massa necessario per riorientare l’asse di rotazione di Plutone. Dai loro calcoli, infatti, sarebbe necessario chiamare in causa uno strato di ghiacci d’Azoto spesso almeno 40 chilometri e dunque poco plausibile. Se, al contrario, si accetta l’idea dell’oceano sotterraneo, si può verosimilmente ipotizzare che l’impatto che originò Sputnik Planitia abbia assottigliato lo strato di ghiaccio che avvolge e confina il guscio liquido permettendo all’oceano sottostante di espandersi e risalire verso l’esterno. Poiché l’acqua è più densa del ghiaccio, quella risalita dell’oceano sotterraneo porta un eccesso di massa e finisce dunque col ridurre lo strato di Azoto ghiacciato necessario per raggiungere l’eccesso di massa richiesto a riorientare l’asse di Plutone. Secondo Nimmo e colleghi, infatti, a questo punto basterebbe uno strato ghiacciato dello spessore di circa 7 chilometri. L’ipotesi di un oceano sotto la crosta ghiacciata di Plutone, non è una novità assoluta. Già a metà Ottobre 2016, il geologo Brandon Johnson (Brown University) e collaboratori avevano pubblicato su “Geophysical Research Letters” i risultati di una simulazione riguardante l’estensione e la composizione di quel possibile oceano di Plutone. Anche in questo caso la simulazione intendeva indagare sulla dinamica del violento impatto che aveva originato Sputnik Planitia. I modelli analizzati da Johnson prevedevano un proiettile grande a sufficienza da originare la depressione osservata e dotato di una velocità compatibile con quelle remote regioni del Sistema Solare. Le simulazioni, inoltre, consideravano differenti spessori del possibile guscio liquido, da una situazione di completa assenza d’acqua fino a uno spessore di 200 chilometri. Di tutti i modelli esaminati, i ricercatori concludevano che il più aderente ai dati della New Horizons e alle valutazioni dell’eccesso di massa richiesta per l’equilibrio dinamico di Plutone, era quello che prevedeva un oceano profondo almeno 100 chilometri e con salinità paragonabile a quella del Mar Morto. Ma non tutti concordano con i meccanismi dinamici legati all’accumulo di ghiaccio nel bacino di un antico impatto o alla presenza di un vasto oceano sotto la crosta ghiacciata di Plutone. Douglas Hamilton (University of Maryland) e colleghi, infatti, ipotizzano uno scenario completamente differente. Nel loro studio, pubblicato sempre sull’ultimo numero di Nature, sostengono che l’accumulo di ghiacci in Sputnik Planitia sia avvenuto in tempi remoti, appena un milione di anni dopo la formazione di Caronte, e non sia affatto collegato alla presenza di un bacino da impatto. Applicando un modello da lui stesso sviluppato, Hamilton ha trovato che l’accumulo ghiacciato in quella che oggi chiamiamo Sputnik Planitia sia riconducibile all’insolita climatologia di Plutone e al suo asse di rotazione inclinato di 120 gradi. Studiando le variazioni di temperatura sulla superficie del Pianeta Nano nel corso del suo lunghissimo anno (occorrono 248 anni terrestri prima che Plutone completi un giro intorno al Sole) è emerso che le regioni collocate a 30 gradi di latitudine Nord e Sud sono quelle che sperimentano le temperature più basse, risultando molto più fredde persino di entrambe le regioni polari. In tali zone, secondo Hamilton, si sarebbero ben presto accumulate grandi quantità di ghiacci, destinate a diventare ancora più imponenti a seguito dell’effetto albedo. Praticamente, riflettendo la luce solare, il bianco dei ghiacci non solo mantiene basse le temperature e conserva i ghiacci, ma agevola il loro accumulo. L’esasperazione di tale effetto (“runaway albedo effect”) potrebbe benissimo sfociare nella presenza di un’unica calotta ghiacciata, proprio come quella osservata su Plutone. Sarebbe proprio questo esagerato accumulo di ghiacci che, secondo Hamilton, avrebbe provocato lo sprofondamento di Sputnik Planitia rispetto alle regioni circostanti. Proprio lo stesso fenomeno che, sul “nostro” pianeta Terra, interessa le regioni interne della Groenlandia. Non è necessario invocare nessun impatto, dunque, ma il semplice peso di una imponente calotta ghiacciata. Curiosamente, questo modello finirebbe col rendere Plutone molto simile alla Terra e a Marte, gli unici tre corpi celesti sui quali sappiamo esistano calotte ghiacciate e condizioni utili allo sviluppo della vita. Come suggerito da Amy Barr (Planetary Science Institute) nella sua presentazione degli studi pubblicati su Nature, si tratta di contributi incredibilmente significativi. Non solo perché svelano le caratteristiche di un corpo celeste finora avvolto nel mistero, ma perché testimoniano il potere deduttivo della moderna Planetologia. Basandosi su un unico set di immagini della New Horizons, gli Autori di quegli studi hanno applicato quanto appreso dall’analisi degli altri pianeti per svelare il mistero del “cuore” di Plutone. Un’impresa davvero notevole. La Nasa non potrà sforare i limiti massimi di bilancio per missione, ma con quel che “poco” può ancora produrre “miracoli” scientifici impossibili per gli Italiani non più sovrani. Ci dovremo accontentare della fantascienza di Avatar, Star Wars e Star Trek! Dopo lo strano schianto di “Schiaparelli”, al massimo di una missione automatica “europea” su Marte nel 2018 (ExoMars2) e nel 2030 per il campionamento di rocce da riportare sulla Terra. Se la compagnia spaziale americana SpaceX tra alcuni mesi lancerà la sua prima navetta spaziale Dragon con astronauti a bordo fino alla Stazione Spaziale Internazionale, trivellare la luna gioviana Europa non sarà soltanto un problema economico e tecnologico. Che diritto abbiamo di interferire nell’evoluzione di un altro mondo? D’altra parte le estrazioni minerarie nel Sistema Solare spettano alle grandi imprese spaziali private, alle nuove compagnie multinazionali che, grazie alla liberalizzazione del commercio nello spazio esterno, potranno dare effettivo impulso alla conquista umana della Galassia. Ma anche questa è una decisione politica. Non solo degli Stati Uniti d’America, ma anche dell’Europa con la Santa Russia vincitrice della Terza Guerra Mondiale contro il Male. Voleremo fin su Plutone con un’astronave nucleare alimentata da Americio secondo il progetto del fisico Carlo Rubbia? Crediamo che il grande John Glenn, in cuor suo, conosca già la risposta. Godspeed!
© Nicola Facciolini


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Data ultimo aggiornamento pagina 12/12/2016
Inserito da Michela Gesualdi
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